Imperdonabili by Marcello Veneziani
autore:Marcello Veneziani [Veneziani Marcello]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 123
editore: Marsilio
pubblicato: 2017-10-17T04:00:00+00:00
Camus
Il pensiero in rivolta alla luce del sole
«Tutti i continenti si rovesceranno sulla vecchia Europa. Sono centinaia di milioni. Hanno fame e non temono la morte. Noi, non sappiamo più morire né uccidere. Bisognerebbe predicare, ma l’Europa non crede in niente». Chi legge una frase del genere pensa subito a un autore reazionario e bigotto della vecchia Europa angosciato per il tramonto dell’Occidente e spaventato per l’invasione dei migranti. E invece sono parole di un immigrato algerino e scrittore che militò nel Partito comunista, predicò la rivolta e fu considerato un simbolo dell’emancipazione africana e del socialismo libertario. Sto parlando di Albert Camus. Le sue parole ancora non conoscevano i massicci flussi migratori dei nostri anni, perché provengono dagli anni cinquanta. Camus amò la civiltà europea, non «l’Europa bottegaia», e ancor più la civiltà mediterranea, e abbracciò la sua difesa presto separandosi dagli intellettuali e politici internazionalisti, comunisti e socialisti. Coltivò un intenso amor patrio distinto dal nazionalismo e declinato attraverso la nostalgia. Fu l’amore di un’assenza e di una lontananza, come si conviene a un emigrato che non smette di amare la sua madrepatria. «La patria si riconosce sempre al momento di perderla… È il tempo dell’esilio, della vita arida, delle anime morte. Per rivivere ci vuole una grazia, l’oblio di sé o una patria». Camus covò il desiderio di tornare a vivere in Algeria con sua madre, perché, diceva, è un paese d’uomini, duro e indimenticabile. Aveva nostalgia del sole e della luce e soffriva il grigiore piovoso di Parigi. Il suo pensiero meridiano planava nella luce e nel mare della Grecia o d’Italia, si sentiva di casa a sud. «Sceglieremo Itaca, la terra fedele, il pensiero audace e frugale, l’azione lucida, la generosità dell’uomo che sa». Camus amò Roma con la sua luce «rotonda, lucente e morbida» e la portò nel cuore, scrisse, «come un corpo di fontane, di giardini e di cupole, in lei si respira, un po’ oppresso ma stranamente felice». Si sentì un romano mancato al punto da rimpiangere «gli stupidi e neri anni che ho vissuto a Parigi».
Da ragazzo Camus pensò che il riscatto per chi viene dall’Africa, dalla povertà e dal sud, come lui, fosse nel comunismo. Ma presto l’illusione svanì, Camus fu espulso dal Partito comunista. Lo accusarono prima di promuovere la cultura delle classi dominanti e di servirsi del teatro che dirigeva per corteggiare le ragazze. Poi lo accusarono di rubare i fondi. Quindi le accuse classiche, di trockijsmo, e infine di essere «uno schifoso fascista». A sua volta lui accusò il marxismo di aver incitato alla diffidenza verso l’Uomo e di aver ridotto la vita alla sua sfera materiale ed economica, senza considerare il senso spirituale dell’esistenza. L’espulsione dal Pci risale al 1938, ma la frattura si consuma negli anni e poi al Congresso per la libertà della cultura nel 1950 a Berlino. Lui, Léon Blum, Gide, Mauriac, Aron vengono trattati dal Pci e dai suoi intellettuali organici da venduti. Camus spiegava che è meglio sbagliarsi senza uccidere nessuno e lasciando parlare gli altri che aver ragione nel silenzio e tra i cadaveri.
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